BAG1 è neuroprotettiva in modelli della malattia di Parkinson

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 07 marzo 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La malattia di Parkinson colpisce l’1-2% della popolazione al di sopra dei 65 anni, ed è la seconda malattia neurodegenerativa dopo l’Alzheimer per frequenza. Sebbene da decenni la terapia sostitutiva con L-Dopa abbia migliorato la prognosi dei pazienti in trattamento, scongiurando  la triste fama di “morbo” intrattabile durata per gran parte dello scorso secolo, costituisce ancora un notevole problema patologico, anche in considerazione del notevole aumento della durata media della vita, con il conseguente incremento relativo della popolazione in età geriatrica. Il quadro clinico, dominato da tremore a riposo, rigidità, bradicinesia, squilibrio posturale e deambulazione a piccoli passi, consente di porre facilmente la diagnosi, ma quando tali sintomi sono evidenti, la perdita di neuroni per degenerazione del sistema dopaminergico nigro-striatale è già in fase avanzata e la necrosi neuronica è già presente in altre sedi encefaliche. La conoscenza della biologia molecolare della malattia ha fatto enormi progressi, specialmente grazie all’identificazione di varie mutazioni geniche responsabili dei rari casi familiari, ma il trattamento è rimasto prevalentemente patogenetico-sintomatico e, nonostante i numerosi tentativi con le nuove strategie sperimentali, può considerarsi ancora insoddisfacente. Infatti, i nuovi approcci terapeutici, in particolare il trattamento con anti-ossidanti, fattori di crescita e trapianto di cellule staminali, non hanno fatto registrare i risultati attesi e, nella prospettiva di una guarigione temporanea quale quella documentata su modelli sperimentali, si sono rivelati un fallimento.

Una spiegazione, che noi abbiamo proposto all’attenzione di clinici e ricercatori già una decina di anni fa, è che al momento dell’emergere clinico dei sintomi, e dunque della diagnosi certa, è già andato perduto oltre il 60% dei neuroni dopaminergici. In altri termini, sarebbe troppo tardi in rapporto a fisiopatologia e progressione della malattia. Un’altra ragione è, naturalmente, che queste strategie non affrontano direttamente il nodo dei processi che causano la degenerazione, e non sono dunque in grado di compensare la disfunzione cellulare, agendo su altri aspetti della patologia.

La conoscenza attuale della fisiopatologia include il misfolding e l’aggregazione di proteine come l’α-sinucleina, una disfunzione mitocondriale e il malfunzionamento di vie di controllo della qualità intracellulare, come la funzione delle proteine chaperone e la degradazione proteasomica e lisosomiale delle proteine. Ciascuno di questi aspetti vede impegnati numerosi gruppi di ricerca.

Pawel Kermer, con cinque colleghi coordinati da Christoph Peter Dohm, ha studiato la potenzialità neuroprotettiva di BAG1 nella malattia di Parkinson (Kermer P., et al., BAG1 is Neuroprotective in In Vivo and In Vitro Models of Parkinson’s Disease. Journal of Molecular Neuroscience 55 (3): 587-595, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Neurology, Nordwest-Krankenhaus Sanderbusch, Sande (Germania); DFG Research Center for Nanoscale Microscopy and Molecular Physiology of the Brain (CNMPB), Göttingen (Germania); Department of Neuropediatrics, University Medical Center Göttingen, Göttingen (Germania); Department of Neurology, University Medical Center Göttingen, Göttingen (Germania).

BAG1 (Bcl-2-associated athanogene-1) è stata la prima proteina ad essere identificata delle sei che costituiscono la famiglia delle proteine BAG dei mammiferi, che si ritiene agiscano come molecole di collegamento modulanti la funzione di altri polipeptidi. BAG1 è una proteina multifunzionale che include un ruolo da co-chaperone, aumentando l’attività Hsp70 foldasica e la degradazione proteica chaperone-dipendente di substrati mal configurati nel ripiegamento (misfolded), con attività anti-apoptotica.

A proposito delle proteine con funzione di chaperone, si ritiene di fare cosa gradita al lettore non specialista dell’argomento proponendo un breve riferimento introduttivo a scopo esplicativo.

Il termine chaperon o chaperone [pron.: ′sha-pә-rōn] è stato introdotto dal francese in inglese nel 1720 con due principali significati: 1) una signora riconosciuta e rispettata, come una matrona, che accompagna una o più donne giovani e nubili in pubblico o in una compagnia mista; 2) una persona anziana che accompagna persone giovani ad un incontro sociale per garantire e assicurare un comportamento appropriato e corretto – per estensione: qualcuno che sia delegato al controllo e all’ottenimento del giusto comportamento da parte di qualcuno che, in una data circostanza, si ritiene possa essere oggetto di influenze, pressioni o tentazioni. Si comprende, perciò, il senso figurato di una molecola che si assicura che un’altra non prenda “una brutta piega” in una circostanza funzionale[1]. In biologia molecolare sono dette chaperones (plur. Ingl.) delle classi funzionali di proteine che forniscono assistenza per l’assunzione o la dismissione di una configurazione appropriata attraverso un processo che piega (folding e unfolding) con legami covalenti o assembla e dis-assembla altre strutture macromolecolari. Per la prima volta il termine è stato impiegato per le proteine che assistono l’assemblaggio dei nucleosomi da istoni e DNA. Una delle principali funzioni della proteina chaperon consiste nell’impedire che catene polipepidiche di nuova sintesi e subunità assemblate possano aggregarsi in strutture non funzionanti, sia in condizioni fisiologiche sia in condizioni di stress. Per questa ragione la maggior parte delle proteine chaperon, se non tutte, sono heat shock proteins[2]. In breve, la fisiologia di queste molecole si può sintetizzare in quattro ruoli funzionali: 1) intervengono nei processi che consentono alle catene polipeptidiche di nuova sintesi l’assunzione e il mantenimento della corretta configurazione spaziale; 2) guidano l’assemblaggio di complessi multienzimatici; 3) intervengono nella genesi o nel mantenimento di uno stato di parziale denaturazione delle proteine, che ne favorisce il trasporto attraverso le membrane dei mitocondri e dei plastidi; 4) facilitano la rinaturazione e/o la degradazione di proteine danneggiate da stress chimico o fisico, stabilizzandole.

Ogni compartimento cellulare ha il suo corredo di chaperones e lo studio del ruolo di queste molecole nei processi patologici è da tempo condotto da numerosi gruppi di ricerca.

 

BAG1 ha già rivelato proprietà neuroprotettive in esperimenti che sono stati condotti per sondare un suo possibile impiego terapeutico in altre patologie. In proposito, Kermer e colleghi hanno studiato i lavori che hanno valutato l’efficacia in modelli animali di ictus ischemico, gli esperimenti condotti su modelli sperimentali della malattia di Huntington e, con particolare attenzione, il recente studio condotto da colleghi impegnati nella ricerca sulla malattia di Parkinson che, in un modello in vitro di una forma ereditaria, hanno rilevato e dimostrato la capacità di BAG1 di ristabilire la funzione di DJ-1.

Kermer, Dohm e colleghi hanno sperimentato l’iperespressione di BAG1 nelle cellule SH-SY5Y ed hanno verificato che, dopo la trasfezione di mutanti di α-sinucleina collegati alla malatttia di Parkinson, si aveva una riduzione di tossicità. Ancora, mediante esperimenti in vitro, i ricercatori hanno ottenuto la prova che la proteina da loro testata è in grado di proteggere dalla necrosi cellulare indotta da rotenone.

Gli esperimenti condotti in vivo per verificare il potere protettivo di BAG1, sono stati realizzati impiegando il classico modello sperimentale di malattia di Parkinson MPTP (1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina). In questo modello murino è stato operato un trasferimento del gene di BAG1 mediante AAV (adeno associate virus) nei neuroni della substantia nigra dei topi, con un evidente successo nella riduzione del numero delle cellule nervose avviate a degenerazione.

Da notare, infine, che negli esperimenti in vitro sul classico modello da 6-idrossidopamina (6-OH-dopamine), BAG1 non ha fatto registrare gli effetti di protezione sperati.

In conclusione, anche se gli autori dello studio presentano BAG1 come una potenziale nuova soluzione terapeutica per la malattia di Parkinson, a modesto parere di chi scrive sono necessarie ancora varie verifiche ed approfondimenti sperimentali prima di avviare una sperimentazione terapeutica.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la revisione e la correzione del testo e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso (malattia di Parkinson) che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Nicole Cardon

BM&L-07 marzo 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. G. Perrella, Appunti di Neurochimica, BM&L-Italia, Firenze 2006; G. Perrella, Introduzione alla presentazione del gruppo di studio sulla biologia molecolare della malattia di Parkinson, BM&L-Italia, Firenze 2008. In questi scritti si rileva anche che, in genere, le proteine chaperon non veicolano informazioni spaziali sulle proteine, tuttavia esistono molecole altamente specifiche, dette steric chaperones, che posseggono informazioni steriche specifiche su proteine che, senza il loro intervento, non potrebbero assumere la corretta configurazione nello spazio; in tal modo è violato il dogma di Anfinsen, secondo cui la struttura primaria di una proteina (la sequenza aminoacidica) contiene tutta l’informazione necessaria per la definizione della sua conformazione tridimensionale.

[2] All’inizio degli anni Sessanta fu condotto uno studio sullo stress cellulare, esponendo le ghiandole salivari di Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta e dell’aceto, a temperature leggermente superiori a quelle fisiologiche. Lo stress termico determinò nei cromosomi politenici, caratteristici delle cellule salivari dell’insetto, la formazione di rigonfiamenti localizzati, che indicava l’espressione genica di specifiche proteine indotta dalla temperatura elevata: le heat shock proteins.